L’ANGELO MEDICO RAFFAELE E L’ERBA TAUMATURGICA
Di don Marcello Stanzione
Di don Marcello Stanzione
L’Angelica o Angelica archangelica, è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Umbrelliferae originaria sia dell’Europa settentrionale che dell’Asia, ed essa fiorisce in tarda estate. E’ sicuramente una delle piante officiali più conosciute e più ricche di storia e di curiosità. Secondo una pia leggenda, pare sia stata donata agli uomini dall’arcangelo Raffaele e durante il Rinascimento per sottolineare la sua origine “celeste”, era chiamata addirittura erba Arcangelica perché lo spirito celeste Raffaele avrebbe lui in persona rivelato le virtù benefiche e del tutto eccezionali di questa pianta. Santa Ildegarda di Bingen scrisse nel suo libro di rimedi curativi, un trattamento contro la febbre proprio a base di Angelica e i monaci benedettini nelle loro ricette a base di erbe e nelle composizioni dei loro famosi liquori ne fecero un largo inpiego in diversi gin e vermut, nello Strega e nello Chartreuse. Proprio durante il Rinascimento, l’Angelica riscosse un particolare successo perché le sue propietà si rivelarono un eccellente rimedio contro la peste. In un recente passato era una delle piante più utilizzate per combattere la difterite e per uso esterno era impiegata contro le affezioni della bocca, inoltre era considerata uno stimolante del sistema linfatico, ottima come coadiuvante in caso di bronchiti ed in quelli più gravi di tubercolosi. Poiché egli ha trovato il rimedio proprio per guarire la cecitá del vecchio Tobia, Raffaele é considerato come l'angelo taumaturgo e, a questo titolo, egli é uno dei santi patroni dei medici e dei farmacisti, ma anche dei ritrosi. Ma in origine, i fedeli che l'invocano aspettano da lui che egli ottenga la guarigione spirituale, ossia la grazia della conversione. Fin dal Medio Evo circola questa preghiera:
Venite in mio aiuto, ve ne supplico,
Glorioso Principe San Raffaele,
Il miglior medico delle anime e dei corpi.
O voi che avete guarito gli occhi di Tobi,
Date ai miei occhi la luce fisica,
Ed all'anima mia la luce soprannaturale:
Allontanate da me tutte le tenebre
Con le vostre celesti suppliche. Amen. (Manoscritto del XI secolo)
Uno dei primi a fare appello ai poteri dell'arcangelo come guaritore delle anime é il giovane eremita GENS BOURNAREL (il suo nome significa in provenzale bello, grazioso). Nato nel 1104 a Monteux, vicino a Carpentras, egli nutrí fin dalla sua infanzia una particolare devozione a San Raffaele, e deplora tanto piú la fastidiosa abitudine che hanno i suoi concittadini di "punirlo" quando la siccitá fa strage: essi portano in processione un'antica statua ritenuta rappresentare l'angelo, poi vanno ad immergerla nelle acque del Ricaveau, un ruscelletto vicino, dove essa rimane immersa fino a che infin cade la pioggia. Un giorno, Gens decide di metter fine a questa pratica superstiziosa: prende l'effigie e la brucia, col pretesto che quel pezzo di legno divenuto informe in capo al tempo non é altro che la reliquia di un antico idolo. Senza dubbio non ha torto. Gli abitanti di Monteux, parroco in testa, si adirano e cacciano l'importuno a colpi di pietra. Alcuni autori dicono che egli ne é tanto piú contento che cosí facendo sfugge ad un matrimonio progettato da papá Bournarel, e di cui egli non voleva saperne. Gens - non ha che una quindicina d'anni - si ritrae in solitudine nei dintorni del Beaucet, non lontano da Venasque.
Per alcuni anni, egli vi mena una vita solitaria, beneficiando di frequenti apparizioni del suo angelo custode e dell'arcangelo Raffaele, al quale egli chiede la conversione degli abitanti di Monteux. Un giorno, avendo un lupo sgozzato la sua mucca, egli lo obbliga in nome dell'angelo a prendere il posto della povera bestia per tirare la carretta. Ma la leggenda non dice che il lupo gli abbia fornito anche del latte. San Gens é morto all'etá di 23 anni nel posto dove si innalza oggi il villaggio che reca il suo nome.
Una gentile leggenda poitevina riporta che Raffaele riveló ad un pio eremita - é San Gens? - l'uso dell'angelica, cosí chiamata in suo onore (la si chiamava una volta arcangelica). A credere agli autori antichi, questa pianta sarebbe una vera panacea: essa guarirebbe la rabbia e le malattie proprie alle donne: "Essa aiuta le donne ritenute troppo fredde a concepire, e fa venire i fiori alle ragazze che tardano troppo nell'averli". Essa renderebbe amabili le spose e le suocere amare, e fedeli le balzane. Sarebbe anche sovrana contro il veleno dei serpenti e degli scorpioni, e permetteva di vivere centenario. Un certo Annibale Camoux, morto a Marsiglia nel 1759 all'etá rispettabile di centoventi anni, attribuiva la sua longevitá eccezionale all'abitudine che aveva di masticare ogni mattina la radice di angelica. Madame de Sévigné, che ne usciva pazza - il suo buon gusto non ricorda nulla di cui ci si sovvenga e non rassomiglia a nessun altro gusto che il suo - non dovette dare sufficientemente libero corso alla sua leggendaria ghiottoneria poiché é deceduta a settant'anni. Soprattutto, l'angelica mostrerebbe la sua efficacia a1 momento delle epidemie di peste: nel 1510, riporta Paracelso, la si utilizzó contro questo flagello a Milano, e quando esso si abbatté sul Poitou, il 6 maggio 1603, le religiose della Visitazione di Niort - che avevano fatto dei rami di angelica confetti di loro specialitá, molto ricercata - si misero a distillare la pianta per distribuirne il liquore agli ammalati. Si ignora se il rimedio fosse efficace, ma questo non ha nulla di sorprendente, tanto é vero che dopo una macerata di anguilla all'aglio ed una buona irrorata di angelica, chiunque si trovasse in punto di morte risusciterebbe subito: il miscuglio, specialitá del Marais (palude) poitevino - é detonante.
Questa utilizzazione dell'angelica trae la sua origine da una apparizione dell'arcangelo a SIMONE DE SOUSA, superiore del convento dell'Ordine di Nostra Signora della Mercede a Cordoba durante la peste del 1348. il religioso si desolava nel vedere gli ammalati soccombere a centinaia - vi furono tante vittime presso i mercedari stessi, che inquadrarono una fusione con i trinitari, non meno provati -, quando egli vide apparire un giovane d'una bellezza eclatante che gli disse: lo sono l'arcangelo Raffaele, vengo in tuo aiuto. Le tue preghiere, le tue elemosine, e soprattutto la tua perseveranza nelle vie dell'umiltá e della caritá, sono d'un sí grande pregio agli occhi di Dio, ch'egli calmerá il suo corruccio, distoglierá il flagello e fará sentire a questa cittá provata le dolcezze della sua misericordia. Vai a trovare il vescovo e digli di far mettere sul campanile della cattedrale una mia immagine, e che egli esorti il popolo a ricorrere alla mia intercessione. Immediatamente, gli ammalati saranno guariti, alla sola condizione di chiedere alla Regina degli angeli la medicina di Dio. Apprendi anche che tutti quelli che porteranno la mia immagine e faranno ricorso alla mia intercessione, saranno liberati da ogni male, in particolare dai malefici dell'impuro Asmodeo, che perde gli uomini e rapisce loro la grazia di Dio.
La medicina di Dio non era, come lo si credette piú tardi, l'angelica. Raffaele pensava piuttosto ai rimedi spirituali che costituiscono la preghiera e la conversione. Il popolo non si sbaglió affatto, e ben presto l'epidemia fu circoscritta. Riconoscente, Cordoba si pose solennemente sotto la protezione dell'arcangelo, al quale la municipalitá innalzó nel 1884 una statua su una delle piazze della cittá.
A partire da allora, la devozione verso l'angelo guaritore fu popolarissima in Spagna. San GIOVANNI DI DIO (1439-1550), fondatore a Granata di un ospizio da cui sarebbe uscito l'Ordine dei Fratelli Ospedalieri, benefició fin dagli inizi della sua impresa dell'aiuto di Raffaele, che gli apparve per dirgli: Giovanni, io sono l'arcangelo Raffaele, inviato da Dio per assisterti nel tuo caritatevole lavoro. Il Signore mi ha confidato la custodia della tua persona e di tutti quelli che, con te, serviranno il Signore. Io tengo un conto fedele delle tue azioni e delle elemosine che ti sono fatte. lo ho per missione di proteggere tutti quelli che favoriranno le tue opere di caritá.
Sotto tali auspici, l'opera non poteva che prosperare, e l'angelo vi si impegnó. Una volta, come Giovanni percorreva le strade di Granata con l'attrattiva della sua caritá - marmitte piene di zuppa, fiaschi di vino e flaconi d'olio, stoffe, bende, fiale di medicamenti e vasi di unguento -, egli vide sotto un portico un miserabile in stato pietoso: occorreva portarlo all'ospedale, ma come fare, carico del suo basto di soccorritore? Subíto apparve Raffaele, prese il medico in braccio e ne caricó le spalle di Giovanni che, piegando sotto il peso, raggiunse tanto bene quanto male l'ospizio. Un'altra volta, essendo venuto a mancare il pane, Giovanni si pose in dovere di solcare le vie della cittá per trovare qualche benefattore. Durante la sua assenza, un bel adolescente vestito come lui entró in infermeria, recando una cesta colma di pane tanto fresco, con cui gli ammalati si saziarono. Quando il santo questuante rientró - afflitto e desolato al pensiero che i suoi poveri non avrebbero avuto da mangiare -, li trovó saziati, dormenti beatamente. Siccome egli si meravigliava, l'arcangelo si mostró a lui: Fratello mio, noi formiamo un solo e stesso ordine, poiché vi sono degli uomini che, sotto un povero abito, sono uguali agli angeli prendi questo pane che il Cielo vi invia!. Ed egli designó una provvigione di michette calde e dorate a punto, che assicurarono la pietanza dell'indomani. Si trovarono tuttavia diverse volte alcuni ammalati un po' tignosi nel far osservare che, la vigilia, quando egli aveva loro distribuito i pani, Giovanni era d'una bellezza e d'una giovinezza singolari. Egli ebbe delle difficoltá nel convincerli che la fame aveva dato loro di volta, essi non demorsero: o era un angelo, oppure il loro benefattore era in bilocazione, trasfigurato dal miracolo. L'una e l'altra possibilitá non essendo contraddittorie, cosí come lo spiegherá nel XX secolo la stigmatizzata tedesca Teresa Neumann, rivestendo il suo angelo custode la sua parvenza per esercitare da lontano un apostolato che ella si sarebbe augurata di compiere, ma che la distanza od altre circostanze le impedivano di compiere di persona: Un uomo ce mi é del tutto sconosciuto mi ha raccontato che egli era pronto, sabato scorso, a suicidarsi a causa delle pene morali e delle difficoltá professionali insormontabili. Subito, Teresa Neumann si era trovata davanti a lui e lo aveva messo in guardia, dissuadendolo dal compiere il suo gesto. Nel suo stato normale, Teresa mi disse che ella aveva avuto molto da soffrire quel sabato, che era stata in preda a penose tentazioni di scoraggiamento. Nello stato di riposo elevato, ella ci fece sapere che il suo angelo custode aveva rivestito il suo aspetto per avvisare quell'uomo, poiché egli interviene cosí per manifestare quello che il Salvatore opera in lei.
Quello che fece senza dubbio l'angelo custode della beata GIACINTA MARTO (1910-1920), la piccola veggente di Fatima, per riportare nel retto cammino un "figlio prodigo" che sua madre aveva confidato alla preghiera della ragazzina: Egli affermava che Giacinta gli era apparsa, che l'aveva perfettamente riconosciuta. Chiesi a Giacinta se fosse vero che lei si era trovata lá con lui. Ella mi rispose di no; che non sapeva neanche dove fosse quel bosco di pini e quelle colline dove egli si era perduto. "Io ho solamente pregato molto per lui Nostra S'ignora, mi disse lei, poiché avevo pena per zia Vittoria ". Ecco dunque quello che lei mi ha risposto. Che cos'é dunque accaduto? Non lo so. Dio solo lo sa.
Alla morte di Giovanni di Dio, le campane delle chiese di Granata si misero a suonare: come lo avevano fatto alla sua nascita -, fenomeno che il buon popolo attribuí ad una iniziativa degli angeli desiderosi di rendere omaggio a colui che li aveva tanto onorati e pregati durante la sua vita.
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